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Io non ho scelto niente,
mi è capitato in questo modo

Enrico Prometti nasce a Bergamo, nel 1945.
Ero un ragazzo della classe povera che aveva nel suo destino di lavorare come calzolaio col padre: sono arrivato alla scuola, all’arte per un caso assolutamente fortuito.

Frequenta l’Accademia Carrara nei primi anni Sessanta.
Un ambiente che dal punto di vista dell’insegnamento ci ha dato poco, c’era l’informale fuori, infuriava l’arte gestuale americana: alle quattro di pomeriggio la scuola chiudeva e noi stavamo lì, un manipolo di banditi, buttavamo la sabbia, il cemento, le buttavamo per terra, facevamo l’informale, con la connivenza del bidello.

Fin dalla prima mostra, nel 1966, le sue opere dissacratorie segnalano una personalità non omologabile, in continua mutazione.
Mi sento cento personalità, cento volontà, non una direzione.

Negli anni Settanta inizia a viaggiare, Niger, Papuasia, Indonesia, Mali, in cerca della sorgente del gesto artistico: dove la mano del fruitore e quella dell’artefice si incontrano.
Ho vissuto con dei sensi di colpa fino ai 30 anni, ho sofferto le pene dell’inferno per darmi un’identità.

In Africa, nel deserto, ritrova il senso primitivo della propria incessante manualità:
l’oggetto primitivo manifesta sempre qualcosa che lo fa essere nobile perché la motivazione non è mai quella di arrivare al prodotto piacevole:
l’origine è un rituale di iniziazione attraverso la produzione dell’oggetto.
Inizia a raccogliere oggetti, restaurarli, e a produrre “omaggi” alla cultura Dogon.
Assiste alla fine di quel mondo:
intorno ai villaggi giravano capre, pecore che mangiavano cacca, stracci: adesso, mangiando la plastica, cagano malissimo, e crepano.


Si dedica a una grande scultura in cui vivere e lavorare, la casa-torre medievale, completamente riedificata come luogo magico, casa d’artista dove tenere tutte le mie cose, vivere a modo mio.

Nel 1996 due grandi mostre personali a New York fanno conoscere al mondo una parte della sua opera plastica, pittorica, grafica e il suo percorso personale dal primitivismo al neoinformale.
Sculture-gioielli, libri d’artista, oggetti d’uso: una produzione immensa.
La vita non basta, quello che la mia condizione personale mi ha attribuito non mi basta.

Nel 2008, il suo ultimo gesto, il suo ultimo viaggio.
Quando ogni luce è spenta, le mani si fanno luce, toccano l’invisibile.

 

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