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Graphos 94

1994

"Spiritoso incubo"

questa è l'espressione che più mi ha colpito rileggendo un'antologia critica sul lavoro di Enrico Prometti.
La definizione si deve a Lucio Clemente Pernici e risale a circa vent'anni fa, ma credo colga tuttora nel segno, soprattutto per quanto riguarda il meccanismo creativo di Prometti.
Uso il termine, solo apparentemente freddo, di "meccanismo" non a caso, perché Prometti si trova in bilico, come all'interno di un delicato ingranaggio, tra il crescere quasi autonomo di costruzioni meccano-organomorfe, la rivendicata abilità "artigiana" delle società primitive (occidentali e africane, quest'ultime da lui profondamente conosciute e vissute) e la volontà pervicace di restituire al lavoro "fabbrile" dell'uomo contemporaneo una perduta dignità di narrazione simbolica, magica, ironica, quasi si praticasse un moderno, continuo esorcismo contro un veleno serpeggiante e insidioso, cui contrapporre, con grazia un po' disperata, il gioco (tra ingenuo e crudele) dell'infanzia.

Le gouaches della serie qui esposta, che Prometti, con terminologia rapita alla musica di Pau I Hindemith, ha voluto intitolare Ludus tonalis, non costituiscono altro che un piccolo assaggio della sua ricerca: chi avesse la ventura di visitare lo studio di Prometti si troverebbe di fronte un autentico pullulare di germinazioni materiche, essendo proprio la materia (con la sua intrinseca moralità) e la manipolazione quanto più interessa l'artista, non in speculativo esercizio (questa la differenza fondamentale con analoghe e anche molto diffuse operazioni), ma come fisico bisogno, e rituale che scateni le più riposte, talora incontrollabili energie psichi che, Plastica, legno, ferro, rottami calpestati o ritrovati in un fiume abitano le sue sculture, interagiscono con il torchio a tracciare i suoi ultimi fogli di "incisione", dove Prometti ha scelto di deporre per un istante il vitalissimo segno-disegna-scrittura, a vantaggio dell'oggetto. Tra ripetute "perdite del centro" (il labirinto è calzante metafora già usata dalla critica, per Prometti), che oggi è più facile, forse non sempre legittimo, elevare a poetica, si aprono, nel lavoro dell'artista, capitoli di più riposta "modernità", ma di maggiore intensità espressiva.

Prometti conosce il mio pensiero e sa quanto io prediliga le sue affascinanti sculture "tradizionali", nella materia viva del legno, che per sua natura sa ricongiungere antiche forme totemiche, oggetti d'uso comune e i fantasmi presenti al nostro immaginario tecnologico, intessendo spontanee e finissime, talora drammatiche, talora sorridenti analogie antropologiche. Uno di questi "capitoli" possono considerarsi le ultime gouaches, episodio che rivela in modo esemplare la duplice indole dell'artista: il suo piacere, il divertimento della pittura e l'insinuarsi sottile di una perdurante inquietudine, fra le tracce troppo spesso contraddittorie di una "segnaletica" esistenziale, che ogni frammento (oggetto, colore, suono) può restituire alla percezione umana col volto ambiguo di un seducente pericolo.

 
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2011-06-07
2011-06-07

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