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Qui Bergamo

zoom

2011-06-08

03:16:58

Nella prima periferia della città, un pò nascosto all'occhio curioso dei più, c'è un edificio di tre piani che, da come si presenta esteriormente, assomiglia, in piccolo, alle piattaforme ecologiche di più recente invenzione.
AI suo interno mani esperte creano, saldando, martellando, componendo pezzi diversi e all'apparenza inutili, vere e proprie opere d'arte, per chi le sa capire.
Enrico Prometti dice di essere un "homo faber" che non si è mai riconosciuto, e mai si riconoscerà, in un artista. "Per appartenere - ci spiega - ai canoni dell'artista, come usualmente viene inteso, avrei dovuto rinunciare alla spontaneità del mio essere e di quello che faccio."
Nel suo laboratorio vi sono oggetti di ogni genere, in bronzo, in legno, in ferro battuto, sculture, medaglioni, gioielli fatti con i vetri delle bottiglie ... troviamo persino il filosofo Epicuro scolpito nel legno di quello che doveva essere uno splendido ulivo: "Ero ospite di alcuni miei amici svizzeri, dovevo raccogliere la legna per il loro barbecue ma quei ceppi di ulivo smuovevano la mia creatività, così ho passato tutta la mia vacanza scolpendo e il barbecue l'hanno fatto con la carbonella! Enrico Prometti colleziona qualsiasi cosa, in realtà è più giusto dire che cerca e cerca finchè non trova un qualsiasi oggetto che colpisce la sua attenzione e il suo desiderio di restituirlo al suo originale utilizzo o di rifarlo vivere componendolo con altro.

Quando è nata questa sua passione?
A quattro anni. Già quand'ero molto piccolo mi chiamavano "mani infernali" perchè non ero mai fermo e lavoravo, costruivo con qualsiasi cosa potessi dare sfogo alla mia creatività. Ho avuto la fortuna di essere figlio di un calzolaio che ha avuto bisogno di farmi lavorare con lui in bottega fin dall'età di quattro anni. Ricordo che dovevo dividere i chiodi storti e irrecuperabili da quelli che in qualche modo potevano essere riutilizzati, non solo ma mia mamma mi aveva insegnato a conservare anche i pezzi piccoli di cuoio che in precedenza erano stati scartati per poterli impiegare sui tacchi a spillo delle signore. E neppure i chiodi e i brandelli di cuoio più rovinati venivano gettati; in bottega, infatti, avevo due secchi pieni d'acqua: uno in cui mettevo i chiodi, nell'altro i pezzi di cuoio: mia mamma poi bagnava l'orto con quell'acqua e i suoi fiori erano sempre i più belli del quartiere. Sì, credo proprio che da mio padre, dai miei antenati, nasca la mia creatività, la mia manualità.

Com'è finito all'Accademia Carrara?
Dopo le scuole obbligatorie mio padre mi pose difronte alla fatidica scelta: o continuare a lavorare con lui in bottega o imparare un altro mestiere. Vede, ho passato il mio tempo, dai cinque agli undici anni, a pensare a come potevo "far fuori" mio padre che, a causa degli stenti e della durezza della vita di allora, spesso mi picchiava, quindi cercai un altro mestiere. Andai a lavorare da un fornaio: mi svegliavo prestissimo per andare a portare il pane in bicicletta a tutta Bergamo, inverno e estate, sempre in bicicletta e canottiera, finchè non mi sono ammalato ai polmoni e sono stato costretto a letto per un mese.
Abituato com'ero sempre ad essere occupato in qualche attività incominciai a dipingere con quello che trovavo per passare il tempo. Mio padre appese in bottega i miei dipinti e un giorno Daniele Marchetti, passanado per farsi risuolare le scarpe, vide i miei quadretti e propose a mio padre di farmi frequentare l'accademia.

E suo padre accettò?
Si mio padre in quell'occasione fu davvero grande: "posso offrirti solo la stanza in cui dormi con le tue sorelle e un buon pasto caldo la sera - mi disse - quindi se ti impegni bene a scuola e vinci le borse di studio..." così nonostante avesse bisogno del mio stipendio, soprattutto dopo l'arrivo del famoso "carrarmato vibram", una gomma per calzature americana, iniziai a frequentare l'accademia.

Eppure lei non aha passato la sua vita a vendere quadri e sculture?
No. I miei gesti, la mia manualità, lamia creatività, sono spontanee ed io non sono mai riuscito ad asservirmi alla società consumistica di oggi che compra l'arte ancora prima di capirla. Se si vuole avere successo bisogna vendere e per vendere è necessario saper seguire e accontentare i gusti del momento
Non ho mai voluto scendere al compromesso di rinunciare alla mia vera creatività per seguire le mode e gli schemi, gli stili e gli usi di questo mondo

Tutto ciò è coerente ma non la isola?
Mi sono sempre sentito un disadattato: il voler a tutti i costi seguire la mia natura e il mio essere mi ha isolato sempre più, fino a qualche anno fa non sarei riuscito a parlare come ora, e sono poche le persone, gli amici che mi conoscono e mi frequentano. Anche ai miei figli, questo mio atteggiamento, ha creato qualche problema. Seguendo il mio modello anche loro si sono poi sentiti un pò tagliati fuori, sempre alla ricerca di qualcosa che non trovavano; pensi che solo dopo due giorni di scuola il maestro mi mandò a chiamare perchè mio figlio diceva che di mestiere facevo il "cercologo" e lui voleva spiegazioni. Quando ancora era poco più che un bambino dissero a mio figlio, e continuarono a ripeterglielo, che aveva un complesso edipico - cosa può capire un bambino di queste cose - chiaro che a furia di dirglielo gli è venuto davvero e forse ora anche lui, come facevo io, non vede l'ora che suo padre muoia. Ma sa, i miei figli sono la cosa più bella che ho avuto dalla vita."

Come ha vissuto allora fino ad oggi?
Chiedendomi perchè non fossi nato all'età della pietra e magari in Africa, allora si che sarei stato bene, forse tutto ciò che faccio avrebbe avuto un senso non solo per me ma anche per gli altri. La mia insofferenza per il presente mi ha spinto, a ritroso, nell'arte arcaica occidentale e mi ha fatto conoscere e apprezzare le culture che usualmente vengono dette "primitive" ma che io definirei "premoderne" e che in realtà stanno alla base delle nostre origini e anche della nostra classicità. Così, nella mia Incessante ricerca, ho girato il mondo dall'Africa al Pakistan, a isole che per i più sono ancora sconosciute. Sono stato anche in America, a New York, e lì ho esposto, neanche l'anno scorso, i miei gioielli fatti con i fondi di bottiglia per cui gli americani sono letteralmente impazziti, che soddisfazione!"

E da ogni luogo ha portato via qualcosa che poi ha ricostruito qui, giusto?
Beh, molte delle cose che raccolgo qui le ho portate con me da qualche viaggio ma la maggior parte sono mie creazioni alcune delle quali si ispirano proprio a quelle culture. Mi chiudo qui per circa tredici ore tutti i giorni e lavoro incessantemente. Vede quel piatto, ad esempio, è un piatto in cui chissà quanti uomini hanno mangiato il cous-cous prendendolo con le mani e portandoselo alla bocca. Mi è stato mandato da mio figlio in cinque pezzi che con pazienza ho assemblato ma non come potrebbe fare un restauratore che ricerca la bellezza esterna ma come un fabbro che ricongiunge pezzo per pezzo solidamente e gli restituisce l'utilità, la sua storia quindi e la sua bellezza. In quel piatto vedo la stupenda palma da olio secolare, da cui proviene, che viene abbattuta e da cui poi, da una sua sezione, quando il legno era ancora umido, gli uomini hanno scolpito quel bellissimo piatto. E chissà quella palma se dalla sua costa non ha visto passare anche Colombo che convinto di andare a est invece andava a scoprire l'America! Ogni oggetto per me ha una sua storia e più è vissuto, più parla di sè e più per me è prezioso.

Allora cos'è l'arte?
Intendiamoci, questa è solo la mia opinione e non dico certo che il mio pensiero sia giusto e infallibile ma certamente questo mondo virtuale si dimentica delle cose virtuose. La mia è arte applicata ma guardi quel piatto, che cos'è se non arte? guardi quei bracciali, quelle medaglie, cosa sono se non arte, espressioni di gesti, di emozioni? Vede quel becco di pellicano in legno, ecco riproduce esattamente il suono che emette il pellicano quando si difende e non è il tipico oggetto che uno compra come ricordo di un viaggio? Poi però non si sa cosa farsene e la prima volta che la donna di servizio lo fa cadere siamo ben contenti di buttarlo via. Il mondo qua fuori è assurdo.

Cambiando discorso, quando sono arrivata stava suonando la batteria?
Sì, si è spaventata? Quella è una batteria costruita interamente da me. Anzi se fosse arrivata cinque minuti prima mi avrebbe trovato intento ad intagliare le bacchette del peso giusto, per ottenere un suono migliore. Spesso quando sento che qualcosa ancora mi manca, che non sono soddisfatto, mi metto lì e mi scarico un pò.

Cos'ha in programma per il futuro?
Innanzitutto ho appena terminato la realizzazione di una serie di medaglie per il 2000 commissionatemi dal signor Cornali che andranno in produzione. Poi chissà, tra qualche giorno magari caricherò la mia jeep di attrezzi e partirò per l'Africa, forse con mia figlia e mia nipote. Per il futuro, sogno un posto tranquillo, in aperta campagna dove poter coltivare la terra, tenere tutte le mie cose, vivere a modo mio e fare un pò di rumore quando mi va senza dover rispettare gli orari condominiali!"

Federica Rosati per QuiBergamo

fotografie: Paolo Stroppa

 

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