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Raplastik 1994

Raplastik

L'itinerario artistico di Enrico Prometti non è rettilineo, ma diviso in vari segmenti: una fase giovanile, figurativa il passaggio ad un primitivismo che, giova dirlo, è stato indagato direttamente sui luoghi (ad esempio in Africa), e non è quindi un mero eccheggiamento evasivo. L'evoluzione verso un orizzonte neoinformale, all'interno del quale, ancora oggi, si ripresenta al pubblico.

Fra i primi due termini indicati e l'ultimo s'inserisce un episodio che fa parte più che altro della vicenda umana di Prometti, ma è utile, credo, ricordare qui, perchè più di ogni altro espediente può aiutare a chiarire la natura della persona.

C'è una lunga pausa nel curriculum dell'artista, che è il periodo dedicato al restauro, alla riedificazione, alla "confezione", se cosi si può dire, di una torre medioevale, che dell'uomo è dimora e "habitat" ideale. E si tratta in effetti di un'opera d'arte sui generis,benchè destinata ad un uso strettamente privato; una sorta di grande scultura che è insieme luogo d'abitazione, museo e grande struttura ambientale permanente.

Se ho voluto inserire quest'aneddoto all'interno di una presentazione del lavoro di Prometti, è per far capire quanto strettamente siano per lui legati il fare artistico e l'atto del vivere: fatti, entrambi, di dedizione e autentica passione.

Ed è un fatto, anche, che dopo l'edificazione della "torre", Prometti si è dedicato, con tutto sè stesso, ad una nuova avventura artistica, che potrebbe davvero essere considerata quasi un nuovo inizio.

Dopo una specie di "riepilogo" di quanto già raggiunto precedentemente, ed un tentativo di sperimentazione più aggiornata (che le carte qui esposte aiutano puntualmente a ripercorrere), la vena di Prometti è finalmente esplosa con l'utilizzazione di nuovi materiali che gli hanno permesso di far virare la ricerca dal terreno già molto esplorato di certe soluzioni pittoriche, a nuove formulazioni in cui il "prelievo", il collage, l'intervento su particolari "objets trouvés" lo hanno condotto dalla ricerca alla scoperta.

L'uso di scorie plastiche e resti di produzioni di materiali sintetici, piuttosto che il recupero di scarti (proprio quelli che "avvelenano" tante discariche'), in via del riconoscimento estetico del "timbro" del loro colore e delle possibilità di rielaborarli a caldo, o semplicemente per "accostamento", per collage, non solo conferma il futuro "tecnologico" e "sintetico" dell'informate - già previsto da Burri con le sue "combustioni" dei primi anni '60 - ma anche la possibilità della creazione di oggetti polifunzionali, che si pongono in una posizione equidistante dalla pittura e dalla scultura.

Può essere il caso di certi "totem" che possono essere esposti a parete ma, meglio, appesi all'interno di un ambiente, e quindi, di fatto, osservabili da ogni lato.

L'interesse della nuova produzione dell'artista sta nel fatto che l'artefice non rinuncia alla "coscienza stilistica che sa infondere, all'intimo lievitare dell'invenzione figurativa, un sigillo di misura e di perfezione formale" che ben aveva intravisto nel suo operare, fin dall'inizio (1967), Mario De Micheli.

Ma anche in un'altra caratteristica dei dei suoi (pur sempre!) "manufatti", che anche composti di materie trovate nel ricco serbatoio degli scarti dell'industria e del mondo

tecnologico, non rinunciano a certe loro caratteristiche "primitive",

"Uno degli aspetti affascinanti delle opere di Prometti", scriveva ad esempio Marco Lorandi in occasione d'una mostra dell'87, "consiste proprio nel loro valore sciamanico (...) là dove è evidente che egli ha desunto e ha fatto proprie (...) quella straordinaria sensibilità del mondo "arcaico" per cui ogni oggetto ( ... ) è portatore o tramite di un animismo magico".

Non viene cioè a mancare, anche nella scelta di un "medium" tecnologico quel fondo "popolare" che giustamente anche Aurelio Natali aveva notato all'interno del mondo poetico.

Tanto che gli oggetti di Prometti, benchè composti di materiali sintetici ed industriali, fanno pensare a quel "bricolage" pieno di fantasia con cui gli artigiani dell'Africa o delle Antille, della Nuova Zelanda o del Borneo hanno dato vita usando i primi rifiuti "tecnologici" apparsi nei loro paesi, come ha rivelato qualche anno fa la stupefacente mostra "Les magiciens de la terre" al Centro Pompidou di Parigi.

11 che evidentemente conferma e ribadisce la derivazione, nel nostro caso, la provenienza del mondo neoinformale, in cui l'elaborazione emozionale, la rapida intuizione, l'accostamento di materie disparate segue sempre, o è motivato, da "simpatie" cromatiche, da stupori improvvisi, da un duro lavoro che sa anche farsi gioco, oltre che fatica.

Adriano Antolini Altamira per Enrico Prometti

 

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